Quando eravamo fratelli
Tiberio Sala Virtuale presenta:
QUANDO ERAVAMO FRATELLI
Titolo originale: We the Animals
Regia: Jeremiah Zagar
con Evan Rosado, Raúl Castillo, Sheila Vand, Isalah Kristian, Kosiah Gabriel
Drammatico – USA 2018
Durata 94 minuti
Tratto da un libriccino di Justin Torres che nasce da un’esperienza di vita vera, il film dello statunitense Jeremiah Zagar ha come protagonisti tre fratelli portoricani Manny, Joel e Jonah, che vivono in una zona arretrata degli Stati Uniti chiamta Utica. La storia tratta della loro complicità e del rapporto con i loro genitori: un affetto spesso interrotto da litigi furibondi, dagli abbandoni e dai rientri di un padre impulsivo e manesco, e con tutte le ripercussioni che ciò ha sull’equilibrio di famiglia in casa. I bambini si fanno strada nella loro infanzia, ma Jonah rispetto ai suoi fratelli crescendo incomincia un suo percorso personale che si distacca dall’ideale mascolino incarnato dal padre e insegue la definizione di una sua sensibilità, aprendosi a ciò che sente. Un cammino che si preannuncia più impervio – e più appartato – ma sicuramente più libero.
Zagar vincitore nel 2009 del Biografilm Festival con il documentario, nonché opera prima, Into a Dream, dopo l’ottimo riscontro ottenuto dalla critica al Sundance Film Festival presenta all’edizione 2018 del Biografilm il suo secondo lungometraggio di finzione. Il film è la storia di un ricordo e in qualche modo ci dice che noi ricordiamo anche attraverso i media con cui siamo entrati in contatto, ne siamo influenzati.
Il regista è legato ai ricordi dei video 35mm o 16mm, in technicolor, mentre ora è tutto pulito, nitido, digitale. We the Animals invece è girato in pellicola 16mm, che con la sua grana spessa conferisce all’ottima fotografia un senso materico e di calore alle bellissime tinte delle albe, dei tramonti o della luce del sole che filtra dalle finestre e solca in maniera delicata i visi dei bambini. Questa luce suggestiva e avvolgente, insieme al lirismo dilagante e all’intimità (i sussurri, il ricorso frequente ai primi piani) che pervadono il racconto, così come i movimenti di macchina liberi e sinuosi, avvicinano questo film allo stile etereo di Terrence Malick.
Il lungometraggio è realizzato con una tecnica mista: riprese dal vero che si alternano a sequenze di animazione, nello stile delle riprese a passo uno. Ovvero, disegni su carta fotocopiati e ripetuti per circa 6500 disegni. Con la camera a spalla, Zagar riprende spesso in mezzo alla scena, fra i personaggi. C’è una forte empatia, quasi partecipazione, immedesimazione. La macchina da presa è sempre in mezzo. Non li perde mai di vista. Addirittura, rompe i confini della diegesi cinematografica e viene afferrata da uno dei bambini.
La vitalità e la creatività sono al centro di questo racconto sul rapporto fra crescita e sofferenza. Il piccolo Jonah ne è il principale portavoce: l’arte spesso è adoperata da lui come valvola di sfogo, come luogo in cui nascondersi, unico momento in cui sentirsi veramente liberi.
I bambini sono sorprendentemente attori non professionisti e le scene sono spesso frutto di improvvisazione, senza dialoghi scritti e affidate alla loro irresistibile spontaneità. La natura li sovrasta continuamente, a partire dalla vegetazione dei campi e delle fitte chiome degli alberi che si stagliano dietro alle loro teste, fino alla presenza dell’acqua, elemento molto importante perché associato al distacco da sé stessi e paradossalmente anche quello di riconciliazione con sé, momento di sospensione per eccellenza. Nuotare è un po’ come volare. Zagar dimostra una capacità fuori dal comune nel costruire un racconto così autentico e così pieno di vita sull’infanzia riuscendo in maniera molto delicata – ma schietta – a introdurre il tema della scoperta in tenera età della propria sessualità.
Recensione MyMovies
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dal 8 al 15 dicembre 2020
Proiezioni in streaming
Tiberio Sala Virtuale
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